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L'impronta digitale del DNA delle viti.
Il tema di questa breve nota riguarda i vitigni, ovvero le
varietà di vite. Occupandomi io proprio di vitigni, questo
argomento mi dà la possibilità di prender confidenza
con i lettori... giocando in casa, come si suole dire! Nel contempo
confido che questa materia possa suscitare qualche interesse anche
in chi non è coinvolto direttamente nella produzione, ma
soltanto nella trasformazione di uve.
A tutti è noto, perfino ai meno esperti tra i consumatori,
quanto la varietà di origine delle uve incida profondamente
sulle caratteristiche del prodotto finito. Meno noto è
forse che i vitigni presenti nel mondo sono in numero veramente
considerevole (qualcosa come 8-10.000 si stima), anche se un limitato
numero di essi ricopre gran parte della superficie vitata. Rimane
dunque un grande "serbatoio" di diversità biologica
da cui magari attingere anche diversità di sensazioni organolettiche
per i palati più esigenti. Un patrimonio che ci si deve
ancora e sempre più sforzare di recuperare, tutelare, conservare.
Ma si è anche consci che un continuo lavoro per descrivere,
identificare e classificare i vitigni sia alla base della loro
utilizzazione e valorizzazione. Ciò era ben noto agli studiosi
di più di un secolo or sono che tanto impegno dedicarono
ad una scienza all'epoca ai suoi albori, l'ampelografia. Ma che
significato riveste attualmente lo studio dei vitigni?
Una delle principali finalità è ancora quella di
stabilire in modo accurato la loro identità: nei Paesi
viticoli europei ciò è indispensabile perché
la legge stabilisce quali vitigni possono essere coltivati e quali
possono rientrare nella composizione dei prodotti a denominazione
geografica. In molti Paesi di nuova viticoltura, dove l'origine
geografica è ancora scarsamente affermata, è proprio
il vitigno (presente per almeno una certa quota) a conferire personalità
ai vini. Produttori di uve e vivaisti, dunque, sono tenuti a fornire
materiale di identità sicura. Ma tali e tante sono le cultivar,
tanti i nomi che talora per ciascuna di esse si usano, che errori
e confusioni si sono determinate con grande frequenza! Fino a
20 anni fa, ad esempio, non era ben chiara la differenza tra Pinot
bianco e Chardonnay, tanto che non è raro imbattersi anche
in Piemonte in vigneti costituiti da una mescolanza dell'uno e
dell'altro; qualcosa di simile è accaduto in California
sempre per lo Chardonnay in partnership con il Melon (cultivar
del Centro Nord della Francia) e in Italia per il Cabernet franc,
confuso (e mescolato) al Carmenère, un vitigno minore del
Bordolese. Per fare esempi a noi più vicini, basterà
ricordare la spinosa questione della Bonarda in Piemonte (in rari
casi la Bonarda piemontese, più spesso la Croatina, l'Uva
rara se non perfino la Neretta cuneese, il Lambrusco Maestri o
il Refoscone friulano). Che dire poi dei numerosi omonimi Brachetto?
Per chiarire questioni di tal natura al verdetto dell'esperto
ampelografo (che riconosce i vitigni sulla base dei caratteri
morfologici delle viti) si affianca oggi proficuamente anche l'analisi
del DNA della pianta mediante marcatori molecolari, in grado di
fornire per ogni cultivar un unico e specifico profilo proprio
come un'impronta digitale (DNA fingerprinting).
Con tali metodi si sono rese possibili ulteriori indagini che
riguardano più specificatamente l'origine dei vitigni in
senso genetico. Se è vero che le cultivar di vite, in quanto
propagate per talea, si mantengono sostanzialmente invariate per
secoli, la gran parte di esse ha avuto origine da un semenzale
dipendente per le sue caratteristiche dai genitori, individui
spesso diversi nella vite in quanto specie prevalentemente eterogama.
Così è stato possibile stabilire che vi sono elevatissime
probabilità che il Cabernet sauvignon, uno dei vitigni
più coltivati al mondo, sia effettivamente derivato da
un incrocio tra Cabernet franc e Sauvignon come il suo nome sembrava
suggerire fin dalla comparsa di questa cultivar un paio di secoli
fa. Più recentemente si è scoperto che molti vitigni
del Nord-est della Francia, tra cui Chardonnay, Gamay e Aligotè,
sono "fratelli", avendo in comune i genitori: il ben
noto Pinot nero e il meno noto Gouais blanc, largamente diffuso
quest'ultimo in epoca medioevale e presente perfino da noi (qualcuno
ha sentito parlare del bianco Liseiret?).
E' evidente che ciò non solo ha rilevanza per studi di
genetica, ma ha implicazioni sull'immagine ed il marketing dei
vitigni come dei vini che ne derivano. Mi pare quanto mai opportuno
che quanto all'origine dei vitigni, argomento di indubbio fascino
per gli amanti del vino, le leggende e i "si dice" cedano
il passo al lavoro dei genetisti, degli storici e (perché
no?) degli studiosi di linguistica.