Cabernet

L'ANGOLO DELLA VIGNA

di Anna Schneider

L'impronta digitale del DNA delle viti.

Il tema di questa breve nota riguarda i vitigni, ovvero le varietà di vite. Occupandomi io proprio di vitigni, questo argomento mi dà la possibilità di prender confidenza con i lettori... giocando in casa, come si suole dire! Nel contempo confido che questa materia possa suscitare qualche interesse anche in chi non è coinvolto direttamente nella produzione, ma soltanto nella trasformazione di uve.
A tutti è noto, perfino ai meno esperti tra i consumatori, quanto la varietà di origine delle uve incida profondamente sulle caratteristiche del prodotto finito. Meno noto è forse che i vitigni presenti nel mondo sono in numero veramente considerevole (qualcosa come 8-10.000 si stima), anche se un limitato numero di essi ricopre gran parte della superficie vitata. Rimane dunque un grande "serbatoio" di diversità biologica da cui magari attingere anche diversità di sensazioni organolettiche per i palati più esigenti. Un patrimonio che ci si deve ancora e sempre più sforzare di recuperare, tutelare, conservare.
Ma si è anche consci che un continuo lavoro per descrivere, identificare e classificare i vitigni sia alla base della loro utilizzazione e valorizzazione. Ciò era ben noto agli studiosi di più di un secolo or sono che tanto impegno dedicarono ad una scienza all'epoca ai suoi albori, l'ampelografia. Ma che significato riveste attualmente lo studio dei vitigni?
Una delle principali finalità è ancora quella di stabilire in modo accurato la loro identità: nei Paesi viticoli europei ciò è indispensabile perché la legge stabilisce quali vitigni possono essere coltivati e quali possono rientrare nella composizione dei prodotti a denominazione geografica. In molti Paesi di nuova viticoltura, dove l'origine geografica è ancora scarsamente affermata, è proprio il vitigno (presente per almeno una certa quota) a conferire personalità ai vini. Produttori di uve e vivaisti, dunque, sono tenuti a fornire materiale di identità sicura. Ma tali e tante sono le cultivar, tanti i nomi che talora per ciascuna di esse si usano, che errori e confusioni si sono determinate con grande frequenza! Fino a 20 anni fa, ad esempio, non era ben chiara la differenza tra Pinot bianco e Chardonnay, tanto che non è raro imbattersi anche in Piemonte in vigneti costituiti da una mescolanza dell'uno e dell'altro; qualcosa di simile è accaduto in California sempre per lo Chardonnay in partnership con il Melon (cultivar del Centro Nord della Francia) e in Italia per il Cabernet franc, confuso (e mescolato) al Carmenère, un vitigno minore del Bordolese. Per fare esempi a noi più vicini, basterà ricordare la spinosa questione della Bonarda in Piemonte (in rari casi la Bonarda piemontese, più spesso la Croatina, l'Uva rara se non perfino la Neretta cuneese, il Lambrusco Maestri o il Refoscone friulano). Che dire poi dei numerosi omonimi Brachetto?
Per chiarire questioni di tal natura al verdetto dell'esperto ampelografo (che riconosce i vitigni sulla base dei caratteri morfologici delle viti) si affianca oggi proficuamente anche l'analisi del DNA della pianta mediante marcatori molecolari, in grado di fornire per ogni cultivar un unico e specifico profilo proprio come un'impronta digitale (DNA fingerprinting).
Con tali metodi si sono rese possibili ulteriori indagini che riguardano più specificatamente l'origine dei vitigni in senso genetico. Se è vero che le cultivar di vite, in quanto propagate per talea, si mantengono sostanzialmente invariate per secoli, la gran parte di esse ha avuto origine da un semenzale dipendente per le sue caratteristiche dai genitori, individui spesso diversi nella vite in quanto specie prevalentemente eterogama. Così è stato possibile stabilire che vi sono elevatissime probabilità che il Cabernet sauvignon, uno dei vitigni più coltivati al mondo, sia effettivamente derivato da un incrocio tra Cabernet franc e Sauvignon come il suo nome sembrava suggerire fin dalla comparsa di questa cultivar un paio di secoli fa. Più recentemente si è scoperto che molti vitigni del Nord-est della Francia, tra cui Chardonnay, Gamay e Aligotè, sono "fratelli", avendo in comune i genitori: il ben noto Pinot nero e il meno noto Gouais blanc, largamente diffuso quest'ultimo in epoca medioevale e presente perfino da noi (qualcuno ha sentito parlare del bianco Liseiret?).
E' evidente che ciò non solo ha rilevanza per studi di genetica, ma ha implicazioni sull'immagine ed il marketing dei vitigni come dei vini che ne derivano. Mi pare quanto mai opportuno che quanto all'origine dei vitigni, argomento di indubbio fascino per gli amanti del vino, le leggende e i "si dice" cedano il passo al lavoro dei genetisti, degli storici e (perché no?) degli studiosi di linguistica.