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di Giusi Mainardi |
"Nice to meet you, neh!" sento esclamare in tono
cordiale. Sono a Vinexpo e sto entrando in uno stand (piemontese,
se c'è davvero bisogno di dirlo). Il neh! è infatti
una bandiera del Piemonte, un intercalare davvero tipico del nostro
modo di esprimerci. Appena l'ospite australiano se ne va, sorrido
col produttore di vino della Valle Belbo per questo intreccio
anglo-piemontese. È divertito anche lui, che solo un attimo
dopo averlo pronunciato si è accorto del suo estemporaneo
saluto.
Anche più tardi continuo a pensarci su. In particolare
rifletto a quando sulle colline piemontesi c'era chi trascorreva
una vita intera senza aver mai visto il mare o un lago, quando
era un vero viaggio andare "al Mondovì", quando
era un viaggiatore chi conosceva la stazione di Nizza Monferrato
e chi dalle colline circostanti arrivava fino a Canelli, trovava
il mondo.
Beninteso, dalle nostre colline si è partiti per arrivare
anche molto lontano, si sono lasciate le famiglie per morire in
Russia, si sono abbandonati i campi e le viti per cercare miglior
sorte in America. Ma quelli erano casi speciali. Era un rapporto
con l'estero ben diverso da quello che si è andato costruendo
in seguito. Ciò che continua a stuzzicare i miei pensieri
è che protagonista, motore, artefice di questa "rivoluzione"
avvenuta sulle colline, è stato in gran parte il vino.
Il vino ha aperto le frontiere ed ha portato nuove esigenze di
comunicazione. Da millenni questa è una delle sue caratteristiche.
Il vino, costante oggetto di scambi, di commerci, è stato
un prodigioso strumento di contatti fra genti e civiltà
diverse. Attraverso il vino i grandi popoli della storia si sono
trasmessi usanze, tradizioni, filosofie.
Così è stato anche negli ultimi anni per le nostre
colline. È accaduto per le grandi aziende enologiche piemontesi,
già più avvezze a gestire rapporti internazionali
fin dall'inizio del XIX secolo. Ma ancora più stimolante
è ciò che è avvenuto agli eredi di un piccolo
mondo non tanto antico.
Oggi molti piccoli produttori ricevono ospiti in cantina e li
accolgono conoscendo l'Inglese, il Francese, persino un po' di
ostico Tedesco. Non solo sulle colline piemontesi del vino, dove
si parlano ancora tanti bei dialetti, si è in grado di
ricevere ospiti che arrivano da lontano, ma di qui ormai si parte
anche per vedere direttamente i mercati più distanti. E
il bello è che si parte, ma per tornare.
OICCE Times crede alle possibilità di crescita che offre
il confronto con lo scenario internazionale. OICCE Times ha fiducia
nella dinamicità, nella cultura e nella tradizione delle
nostre terre. È nostro obbiettivo presentare la visione
di un mondo enologico che può diventare globale, senza
rinunciare alle proprie radici locali.