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di Anna Schneider |
Tutti sono concordi nel ritenere che la qualità di un
vino si ottiene nel vigneto e che le pratiche di cantina, per
quanto sofisticate, non possono creare dal nulla quello che la
materia prima non ha. Per fare un buon vino ci vuole un'uva sana,
al giusto grado di maturazione; per fare un grande vino i vari
componenti del frutto devono avere un più elevato livello
di complessità, concentrazione ed armonia. Il che vuol
dire che ad ogni annata la sfida per il viticoltore sta nell'ottenere
questi risultati.
Molto è stato fatto negli ultimi anni per razionalizzare
le pratiche colturali senza dimenticare questo obiettivo: e risultati
rilevanti si sono ottenuti nella integrità e salubrità
del prodotto e dell'ambiente, nel contenimento dei costi di produzione,
nella selezione genetica e sanitaria di marze e portinnesti, nella
scelta di fattori quali i materiali utilizzati nel vigneto, ecc.
Tuttavia ancora non abbastanza è stato fatto per conoscere
da vicino la fisiologia della pianta: un aspetto tra i più
complicati, ma per il quale credo vi siano ancora ampi margini
di progresso e miglioramento in funzione della qualità
o del risparmio. Si sono studiate molte forme di allevamento e
potatura, ma non si sono ancora capiti intimamente i meccanismi
che regolano il giusto equilibrio tra massa vegetativa (fogliare)
e produzione, e molto si deve ancora scoprire sulla fisiologia
della maturazione dell'uva, sui processi di accumulo e trasformazione
di sostanze preziose per la qualità tecnologica del frutto.
Qualche passetto in più i nostri colleghi d'oltralpe e
d'oltreoceano, per la verità, lo hanno compiuto. Ma per
noi italiani esiste un'effettiva complicazione al progredire di
questi studi, che non va cercata soltanto nelle carenze del supporto
finanziario, o di un approccio scientifico e metodologico.
L'Italia è il Paese delle diversità viticole: un
caleidoscopio di climi, suoli, ambienti e metodi colturali, vitigni,
condizioni di organizzazione e sviluppo economico, tale da rendere
difficile, se non impossibile, concentrare gli sforzi sulla soluzione
di pochi, specifici problemi. Ciò che sembra accadere nelle
spalliere dei Nebbioli piemontesi difficilmente funziona allo
stesso modo nelle pergole trentine o veronesi, o sulle dolci colline
toscane, o nelle assolate piane siciliane. Situazioni molteplici
e molteplici vitigni richiedono molteplici approcci, molteplici
studi per molteplici risposte. E, tuttavia, i progressi ottenibili
(cominciamo a intravederlo in altri Paesi) sono troppo consistenti
per ignorarli. Va dunque nella giusta direzione lo sforzo per
non disperdere le poche risorse, per coordinarsi e collaborare:
viva la diversità, abbasso la dispersione!