di Moreno Soster |
Qualche tempo fa sono entrato in enoteca con l'intenzione di
acquistare un vino ben preciso.
Cercavo un Cortese fruttato e leggermente frizzante, ossia pétillant,
che ricordavo di avere assaggiato in occasione di un Vinitaly.
L'enotecario ha meditato un po' sulla mia richiesta e quindi mi
ha porto una bottiglia slanciata e dal colore esuberante. Blu
cobalto, appunto.
Alla mia evidente espressione di stupore ha proseguito dicendo:
"La vendo molto bene. Proprio perché piace il colore
della bottiglia!".
Questo piccolo episodio mi ha fatto comprendere come la mia attenzione
per una serie di elementi importanti nell'orientare il mio acquisto
l'interesse per un vitigno di un territorio preciso, tutelato
da una DOC, trasformato con tecniche innovative in un vino dalle
caratteristiche sensoriali peculiari e idonee ad un certo abbinamento
gastronomico fosse da altri consumatori sostituita dalla
semplice e rispettabilissima preferenza per il colore della bottiglia.
Insomma il contenitore che prevale sul contenuto.
È evidente che non si può generalizzare quest'episodio.
Difficilmente un Barolo o un Brunello di Montalcino saranno prevaricati
dalla loro bottiglia. Ma occorre pensare che il significato del
vino può essere molto diverso nella percezione della moltitudine
dei consumatori potenziali. A tal punto che per alcuni prevale
su ogni altro aspetto una gradevole presenza estetica a tavola.
Ora questo mi consente di fare qualche riflessione circa il ruolo
di OICCE nel difficile cammino per il
trasferimento della conoscenza nel settore viticolo
ed enologico.
Da una parte appare necessario continuare a lavorare per disegnare
i molteplici volti del vino attraverso la ricerca e la divulgazione
della storia e dei legami con il territorio, dei progressi della
tecnica e dell'evoluzione sensoriale. Sono elementi che dobbiamo
far conoscere nel rispetto di una tradizione cresciuta lentamente
e abbracciata ad una terra con le sue abitudini, i suoi dialetti,
le sue difficoltà, il suo patrimonio naturale ed umano.
Una tradizione che si evolve costantemente attraverso il progresso
tecnico e la creatività delle imprese. È una dimensione
della conoscenza che dobbiamo coltivare, perché è
l'anima del nostro messaggio che va a riempire quella frattura
conoscitiva generata dal distacco della nostra società
contemporanea dalle sue radici rurali.
D'altra parte i modi e le forme, con cui un messaggio può
essere veicolato, sono in continua evoluzione. E anche se non
è il caso di farsi stritolare da una manipolazione linguistica,
visiva e sonora della comunicazione che i media ci propongono
in maniera talora parossistica, è pur vero che
se vogliamo farci capire dagli altri dobbiamo usare le loro parole
per esprimere i nostri concetti.
Allora un impegno di OICCE potrebbe essere quello di alimentare
la consapevolezza che è necessario coniugare la complessità
culturale e tecnica del vino con la leggerezza delle forme (bottiglia,
etichetta, ecc.) che si usano per fare interagire meglio il prodotto
con il consumatore.
Cambiano i linguaggi del mondo ed è proprio dell'imprenditore
essere attento al cambiamento e sapere cogliere le nuove opportunità
che si presentano. Ma per il vino questo deve avvenire coerentemente
con le peculiarità culturali del prodotto.
È una sfida importante da cogliere.
Per sostenere un produttore più preparato e un consumatore
più consapevole.