EDITORIALE
di Giusi Mainardi

In difesa della vecchia generazione
ed a favore della nuova

Di distacco generazionale, quando non di conflitto o di scontro fra generazioni, credo si parli grossomodo da quando gli uomini hanno acquisito l’uso della parola. È lo stesso processo dell’evoluzione che porta a mettere in discussione l’efficacia della clava dei nonni e le modifiche apportate dai nipoti. Questo è continuato a succedere nel corso dei secoli, quando anche i nipoti sono diventati a loro volta nonni.
E’ tuttavia fin troppo abusata l’opinione che esistano per forza delle barriere di incomprensione fra generazioni. Si tratta di una semplificazione un po’ scontata che molte volte non corrisponde veramente alla realtà. Più che sui conflitti vorrei invece riflettere sui confronti.
Nel mondo del vino, questo grande, vecchio mondo che pure sa essere sempre giovane e nuovo, il confronto fra le generazioni avviene da millenni.
Chi vi si affaccia come nuovo attore fa le sue scoperte, traccia le sue personali strade ed è certo di fornire le migliori interpretazioni.
In Italia molto è cambiato fra le ultime generazioni dei produttori di vino.
Tutti concordano nel sostenere che negli ultimi cinquant’anni il settore enologico ha fatto passi da gigante. Questi cambiamenti sono avvenuti come riflesso di una evoluzione tecnica, scientifica, sociale.
La trasformazione è evidente per l’industria e per le grandi aziende, ma il confronto è molto ben percepibile ed identificabile ancor più nelle medie e piccole realtà produttive. Qui si può vedere come operavano qualche decennio fa i conduttori delle cantine e cosa stanno facendo oggi i loro continuatori. In passato il metodo di base per la produzione del vino si basava piuttosto su conoscenze empiriche trasmesse oralmente, senza troppe esigenze di una formazione culturale specifica.
Non c’era tanta scienza in cantina, ma si raggiungevano comunque degli obbiettivi che consentivano di mandare avanti l’attività con successo e con profitto. La qualità del vino era commisurata al contesto del mercato locale ed alle esigenze che in esso si manifestavano. C’era sicuramente molto da fare, e da fare da soli, per conquistarsi uno spazio.
Poi cominciano ad affermarsi nuove tendenze nel modo di pensare il vino. Si amplia la fascia di consumatori che vede nel vino un elemento integrante e rappresentativo di una terra, di una cultura, di un elevato saper fare.
Nel cambio generazionale, nella stessa cantina, molto spesso troviamo una persona che ha frequentato scuole specifiche, che segue con attenzione le innovazioni tecnologiche, che approfondisce le sue conoscenze per passione, ma anche, naturalmente, per stare sul mercato con livelli adeguati di qualità.
Qualche decennio fa c’era meno esigenza di approfondimento tecnico, molto meno cultura del territorio, c’era meno sostegno, anche da parte delle istituzioni, verso la promozione del prodotto.
Questi erano sicuramente degli svantaggi che oggi si sono in buona parte superati.
Le nuove generazioni tuttavia non hanno certamente di fronte una strada tutta facile e piana.
C’è più considerazione per il vino, ma c’è anche più preparazione e c’è più consapevolezza del prodotto. Per vendere il proprio vino, i produttori oggi si devono confrontare con ristoratori attenti, con enotecari molto specializzati, con severi sommeliers, con consumatori italiani e stranieri esigenti e sempre meglio informati.
Bisogna essere in grado di produrre il proprio vino seguendo una filosofia della qualità e dell’immagine.
Superate le reali o fittizie lotte fra vecchie e nuove generazioni, la strategia vincente è certamente quella di credere insieme nel futuro del vino.