EDITORIALE
di Giusi Mainardi

Luci accese sulle accise

Torna vivo, se mai si era sopito, il dibattito sulla tassazione da imporre sugli alcol e le bevande alcoliche.
Lo scorso maggio la Commissione Europea ha presentato un rapporto sul funzionamento del sistema adottato dalla Comunità in merito ai tassi minimi di accise da applicare ai prodotti del nostro settore.
Il rapporto invita a riflettere su alcuni aspetti fondamentali collegati ai meccanismi dell’attuale sistema. Quale influenza ha sui mercati interni? I tassi di accise, molto diversi nelle varie nazioni, possono falsare la concorrenza? I tassi minimi fissati nel 1992 sono ancora validi?
La prima conclusione tratta dalla Commissione riguarda la necessità di una maggiore convergenza dei tassi d’accise applicati nei diversi Stati dell’Unione Europea, per ridurre frodi e concorrenza.
I tassi minimi d’accisa attualmente in vigore sono quelli determinati nel 1992 e su questi minimi i diversi Stati hanno fissato liberamente i tassi che ritenevano più appropriati a seconda delle strategie nazionali in merito a salute, politica agricola, politica fiscale. Dato che ogni Paese ha seguito dei criteri autonomi, ne sono nate discordanze e conflittualità.
La Commissione sottolinea che i diversi tassi d’accise applicati perturbano i mercati. Nei Paesi dove le accise sono molto elevate, queste costituiscono un incoraggiamento agli acquisti oltrefrontiera e anche un incitamento alla frode e al contrabbando.
Solo per dire di un caso, mentre in Svezia l’accisa per 70 cL di una bevanda alcolica di 40° è di 15,41 euro, nella vicina Lettonia l’accisa è di 2,37, in Danimarca è di 5,66, per passare a 3,65 in Germania. In Francia la tassazione per questo tipo di bevanda alcolica è di 4,06 euro, mentre in Italia è di 1,80.
Non è difficile capire che queste differenze possono creare una forte tentazione verso attività illecite.
In generale gli Stati europei convengono sulla necessità di un allineamento, ma non trovano accordo sul livello dei tassi minimi. Secondo il rapporto della Commissione, se si vuole che i tassi minimi abbiano significato, questi dovrebbero essere ricalcolati sulla base dell’inflazione, circa il 24% fra il primo gennaio 1993 e il primo gennaio 2003.
Una questione molto controversa, e ancora più dibattuta, riguarda l’accisa sul vino.
Ci sono Stati che fanno pressione affinché ogni modifica dei tassi minimi sulle bevande alcoliche sia subordinata all’introduzione di un tasso minimo positivo per il vino.
Paesi dove il vino è tradizionale protagonista dell’economia locale hanno infatti stabilito un tasso minimo pari a zero.
Grecia, Spagna, Italia, Lussemburgo, Cipro, Malta, Portogallo, Slovenia hanno infatti un tasso pari a zero per qualunque tipo di vino. In Francia è applicato un simbolico 0,02 per i vini tranquilli e 0,06 per i vini spumanti. A questo punto si impone anche la questione sollevata da un buon numero di produttori di vini con le bollicine. Questi non sono affatto d’accordo sul principio di una tassazione differenziata e maggiore dei vini spumanti rispetto ai vini tranquilli.
La Commissione europea propone di aprire un dibattito con i Ministri delle Finanze nazionali in seno al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale.
È assolutamente da auspicare che i Paesi della CE in cui il vino rappresenta un comparto strategico del mercato agroalimentare, prendano una posizione decisa e facciano ben presenti le proprie istanze.
Sebbene il problema sia delicato e comporti diverse implicazioni di ordine politico, economico e sociale, è innegabile che una ulteriore tassa sul vino colpirà i produttori e penalizzerà anche i consumatori.