L'OPINIONE DEL PRESIDENTE
di Moreno Soster

de gustibus

 

In Estremadura, dove la Spagna abbraccia il Portogallo, alcuni anni fa. Eravamo ospiti di un importante produttore vitivinicolo di quelle terre, il quale con squisita ospitalità ci invitò ad assaggiare alcuni dei suoi vini.
Nella fresca penombra della cantina, appena intiepidita da una luce artificiale gialla, ci offrì un calice di un vino dal colore aranciato molto scarico.
I sapori ed i profumi erano quelli caratteristici di un prodotto sicuramente importante, ma avviato ormai sulla china di un invecchiamento eccessivo. Ne fummo perplessi.
Il produttore ci provocò, chiedendoci un nostro parere. Pur con le cautele che richiedeva la situazione, fummo onesti e gli dicemmo che, per il nostro gusto italiano, quel vino aveva già vissuto i suoi momenti migliori e stava diventando decrepito. Ci sorrise. Non aveva dubbi che quello sarebbe stato il nostro giudizio.
Infatti – aggiunse – era un vino relativamente giovane ma sottoposto ad una ossidazione accelerata per essere venduto esclusivamente sul mercato inglese.
Questo episodio mi è tornato in mente in questi giorni in cui mi chiedevo se si possa realmente parlare di una geografia del gusto.
Ovvero se esistano atteggiamenti sensoriali differenti tra i consumatori di aree geografiche diverse.
Restando nell’ambito del vino, probabilmente un primo “confine” potrebbe esistere tra i consumatori dei paesi che sono produttori e quelli che non lo sono: nei primi prevale un gusto legato alla realtà ambientale e produttiva dei vini, che è un vissuto interiorizzato dal consumatore che abita quei luoghi ed è veicolato dalla tradizione che aggiunge al prodotto valenze culturali e sociali; nei secondi assume maggiore importanza la percezione del vino nel momento del consumo, le sensazioni evocate, i significati di status.
Forse quel vino estremegno molto evoluto rammentava ai palati inglesi un passato di commerci navali, di flotte e di conquiste, di botti che attraversavano lentamente i mari e giungevano nei porti britannici con quel particolare bouquet.
Ma questa ipotetica suddivisione non regge alla rivoluzione agricola degli ultimi cinquant’anni che ha visto il settore perdere molto rapidamente una larga fetta dei propri addetti che sono stati riassorbiti dall’industria e dal terziario.
A questa fuga dalle campagne ha corrisposto una progressiva perdita dei riferimenti culturali che il mondo agricolo serbava, e questo anche in termini sensoriali.
Così nei paesi produttori si è creata una cesura tra produzione e consumo, ed il gusto si è allontanato dall’influenza del contatto diretto con la coltivazione e l’allevamento per acquisire i messaggi provenienti in prevalenza dalle aziende di trasformazione e di commercializzazione.
In questi ultimi decenni si è assistito ad un progressivo miglioramento della qualità sensoriale dei vini a cui ha fatto eco una certa confusione nel gusto dei consumatori che rifletteva una delle domande tuttora aperte nel mondo enologico: tradizione o innovazione?
A complicare ulteriormente la situazione si sono affacciati, al mercato del vino, nuovi paesi produttori privi di proprie tradizioni viticolo-enologiche, i quali hanno progettato e costruito i propri vini tarandoli su un gusto studiato in termini di marketing.
L’impatto di questi paesi è stato notevole. Limitandoci agli effetti sul gusto, essi hanno generato una fortissima omologazione (stessi vitigni, stesse pratiche enologiche, stesso messaggio) che ha prodotto due ricadute: un gusto di riferimento mondiale, che non è necessariamente solo il pensiero unico ma è anche pietra di paragone, ed un diffuso rifiuto a tale omologazione che ravviva il recupero delle radici culturali e territoriali delle produzioni enologiche dei paesi tradizionalmente produttori.
In questa elaborazione del gusto un ruolo non secondario è stato svolto dalle guide e dagli opinionisti, ma anche - in maniera meno spettacolare e più profonda - dalle associazioni degli assaggiatori che hanno riempito un vuoto di conoscenze sensoriali e riaperto un diverso rapporto tra il vino ed i suoi consumatori.
Il gusto, non più ancorato a convenzioni di produzione o di consumo, diventa strumento di ricerca all’interno del vino globalizzato.
Il consumatore non è più legato ad una realtà geografica che ne condiziona i comportamenti ma piuttosto alle informazioni di cui dispone per gestire il proprio atteggiamento sensoriale nei confronti del vino.
E la visione complessiva dei vini offerti dal mondo enologico non è più quella di una geografia del gusto con confini e barriere precostituite ma piuttosto quella di una enorme tavola imbandita di vini buoni pur con profili sensoriali diversi a cui tutti, ognuno con gli strumenti che ha, possono affacciarsi per sviluppare dei propri autonomi percorsi del gusto.
Se scoperta e apertura sono le nuove dimensioni del gusto, allora creatività, formazione e sviluppo delle conoscenze diventano indispensabili per differenziare e continuare a produrre le migliaia di diversi vini nel mondo che incontrano gli infiniti e differenti gusti dei consumatori del mondo.