L'ANGOLO DELLA VIGNA
di Anna Schneider

 

E se si ricominciasse a coltivare
l’Uva meravigliosa?

Tra le uve salvate recentemente dalla definitiva scomparsa, ve ne è una, delle più antiche e un tempo più diffuse, che merita qualche attenzione, soprattutto come uva da tavola. Si tratta del Grec rouge, tra i primi vitigni ad essere citati in Francia - ad esempio nel 1600 dal celebre Olivier de Serres nel suo Théatre d’Agriculture - e ricordata in tante opere ampelografiche successive.
Ma non ci occuperemmo di questa cultivar se la sua coltura fosse limitata al territorio francese.
In realtà essa era presente, sia pure su piccole superfici, assai diffusamente in molte altre zone viticole d’Europa, oltre che nella regione mediterranea: l’abbiamo ritrovata in Piemonte, in Liguria e recentemente anche in Croazia.
È probabile che il Midi della Francia sia stato uno dei maggiori centri colturali del Grec rouge: qui era chiamato anche Barbaroux, italianizzato in Barbarossa lungo la costa ligure, dove è ancora presente nei vecchi vigneti della provincia di Imperia. Nel Savonese cede il posto ad un’altra Barbarossa, una cultivar distinta, descritta dal conte Giorgio Gallesio a Finale Ligure nei primi decenni dell’Ottocento.
Abbiamo invece nuovamente ritrovato il Grec rouge nell’Alessandrino, con il nome di Napoletana, e in tutta la Valle di Susa, dove è chiamato Grigia rossa (Grisa roussa).
Proprio come accadeva nel passato, i Valsusini paiono affezionati a questo vitigno dai grandi grappoli alati e dal bellissimo colore dall’uva, tanto da allevarne ancora qualche filare nei vigneti o qualche ceppo vicino alle case. Sì, perché l’uva di Grec rouge, citando il giudizio di un ampelografo ottocentesco, è senza dubbio “una delle più decorative che esistano”, tanto da essersi meritata l’appellativo di “Uva meravigliosa” fin dal 1600.
In primo luogo i suoi grappoli possono raggiungere una dimensione ed un peso eccezionali, col che la produttività della pianta è sempre ragguardevole, cosa che suscita l’entusiasmo dei viticoltori. Ma ciò che più attrae è il colore degli acini, che va dal rosa perlaceo ad un rosso ramato, passando attraverso sfumature rosa giallastre e, nelle parti non esposte al sole, giallo verdastre.
Più di una volta mi è parso di intravedere proprio il Grec rouge nelle tele di qualche valente artista fiammingo, e potrebbe effettivamente essere così, perché si tratta di un vitigno celebre proprio nel Seicento, quando raramente mancava nei giardini delle famiglie abbienti di mezza Europa. Neppure il gusto dell’uva delude le aspettative: gli acini hanno polpa succosa ma soda e un sapore fine e dolcissimo. La buccia, non troppo spessa ma ben resistente, permette all’uva di conservarsi per un certo tempo sulla pianta.
Anche se non molto serbevole, il vino di Grigia rossa prodotto oggi in Valle di Susa, di colore rosato scarico o bianco, risulta fresco e gradevole. Ma ancor più consigliabile sarebbe destinare l’Uva meravigliosa al consumo allo stato fresco, come recentemente suggerito proprio per la vallata alpina dal professor Gerbi e collaboratori.
Vorrei aggiungere che questo vitigno si adatta assai bene a vari ambienti colturali, compresi i suoli magri, asciutti e scistosi di molte aree di coltura marginale. E proprio qui, ma non qui soltanto, potrebbe offrire un’uva da tavola particolarmente apprezzata (e ben remunerata) sui mercati locali, tanto più esaltandone la valenza storica e le origini antiche presso i consumatori più attenti e curiosi.
Una bella rivincita per un’uva meravigliosa, dai toni fiamminghi, oggi dimenticata.