titolari delle storiche cantine Coppo di Canelli |
Le cantine Coppo sono portatrici
di una lunga tradizione che le
vede attive in Canelli fin dal 1892.
In quell’anno Piero Coppo, che
sposerà nei primi anni del ’900
Clelia Pennone, figlia di una affermata
e storica famiglia di produttori
vinicoli canellesi, fonda l’azienda.
Il figlio Luigi, diplomato enologo
nel 1939, lavora da subito con il
padre, attraversando i momenti difficili
della guerra e della disastrosa
alluvione del 1948.
Nel 1951, alla morte di Piero,
Luigi assume tutta la responsabilità
dell’azienda, ampliandola e dotandola
di nuove strutture finché, a
partire dagli anni ’60, i suoi figli,
uno dopo l’altro, cominciano ad
affiancarlo.
Tutti e quattro hanno condiviso da sempre la passione
paterna per il mondo del vino. Oggi Piero e Paolo si occupano
principalmente della parte commerciale, mentre Roberto e
Gianni seguono la produzione e la parte amministrativa.
Vigneti e cantina si avvalgono inoltre dagli enologi Gian
Mario Cerruti e Guglielmo Grasso.
I vini Coppo, oltre che
in Italia, viaggiano in
tanti paesi del mondo e
sono diventati un simbolo
del vino piemontese di
qualità. Ricevono costantemente
importanti riconoscimenti
da esperti italiani
e internazionali, tradotti
fra l’altro in elevati
punteggi sulle principali
guide del settore e sulle
celebri riviste di tendenza
del mondo enologico.
I vini Coppo nascono
da circa 55 ettari di vigneti,
dei quali circa la
metà di proprietà o in
affitto e la restante
parte sotto la conduzionetecnica dell’azienda. La produzione media annuale va da
370.000 a 420.000 bottiglie.
La Barbera d’Asti “Pomorosso”, lo Chardonnay “Monteriolo” e
il Brut “Riserva Coppo” Metodo Classico costituiscono le punte
di diamante di una produzione che presenta anche molti altri vini
interessanti come la Barbera “Camp di Rouss” e “L’Avvocata”, il
Cabernet e Barbera “Alterego”, il Freisa “Mondaccione”, il
Grignolino “Rotondino”, lo Chardonnay “Costebianche”, il Gavi
“La Rocca”, il Moscato “Moncalvina”, le Riserve della famiglia...
Fin dalla fondazione dell’OICCE, i fratelli Coppo hanno aderito
all’associazione, considerandola un fulcro di contatti interessanti
e di iniziative veramente utili al progresso del mondo del
vino. OICCE Times ha incontrato Gianni, Paolo, Piero e Roberto
per sentire come hanno costruito il successo della loro azienda e
quali sono le caratteristiche della loro griffe.
Da quando avete creduto nel vitigno
Barbera?
Le colline di Canelli, celebri per il
Moscato bianco sono da sempre anche
terreno per grandi Barbera. La produzione
di Barbera è per noi una lunga tradizione
legata a Canelli, ma anche ad altri
vigneti d’eccellenza che si trovano in zone
classiche come Agliano e Castelnuovo
Calcea. Il “Pomorosso” è ad esempio il
risultato delle uve provenienti da cinque
diverse vigne situate in queste due zone.
Questo ci consente ogni anno di produrre
un vino che risponda alle molte
aspettative che genera.
Quanto è importante la vigna
e quanto la cantina nel risultato finale
dei vostri vini?
La qualità di un vino è fatta di tanti
piccoli passi che si compiono sia nel
vigneto, sia in cantina. La vigna ha una
importanza determinante.
Per ogni vino cerchiamo le vigne più adatte con terreni ed
esposizioni che diano alle uve le caratteristiche idonee al vino
che vogliamo ottenere.
Abbiamo individuato le rese per ettaro ottimali, ad esempio
dai 50-60 quintali ad ettaro per Pomorosso, Alterego,
Mondaccione, Camp du Rouss, Monteriolo; un po’ più alte, da
70 a 80 quintali ad ettaro, per L’Avvocata, il Rotondino e lo
Chardonnay Costebianche.
In cantina poi l’obbiettivo è quello di rispettare al massimo
la tipologia, interpretando e facendo esprimere al meglio quello
che può dare il vitigno.
C’è una giusta mediazione fra innovazione e tradizione. Già
qualche anno fa, sul Grignolino abbiamo applicato ad esempio
una tecnica innovativa di refrigerazione dei mosti con CO2 che
ci ha dato soddisfazioni e che abbiamo esteso anche ad altre produzioni.
Vogliamo sottolineare che su tutti i nostri vini ci impegnamo
ad ottenere qualità, non solo per i prodotti di maggiore prestigio
e prezzo, ma anche per tutte le altre etichette.
A cosa si ispirano i nomi dei vostri vini?
Sono di solito nomi collegati a quelli delle vigne.
Il nome del Pomorosso viene da una vigna dove c’era un
albero di mele rosse, il Camp du Rouss è il nome di una
vigna che apparteneva a un grande uomo dai capelli rossi,
s o p r a n n o m i n a t o
“Rouss”, l’Avvocata era
invece la vigna di un
avvocato donna, persona
rigida e autorevole
che tutti chiamavano
s e m p l i c e m m e n t e
“l’avvocata”, il
Rotondino ha origine da
una vigna che aveva un
impianto a cerchio su
un bricco…
L’Alterego si stacca un
po’ da questa regola
generale?
Sì, questo vino è
“l’alterego” del
Pomorosso. Sempre di alta
qualità, affinato in barrique,
ma ottenuto da un 60% di
Cabernet Sauvignon e un
40% di Barbera. Quando
abbiamo pensato a questo
vino eravamo un po’ titubanti
perché mettere il Cabernet
nella Barbera sembrava quasi
tradire la tradizione di famiglia.
Quando però abbiamo
visto il risultato di questa
unione abbiamo capito che
non stavamo tradendo proprio
niente e siamo andati
avanti.
Secondo la vostra esperienza, come è cambiata
all’estero l’immagine del vino italiano e in particolare del vino
piemontese?
Negli ultimi venti anni ci sono stati enormi progressi, collegati
in gran parte alla crescita
esponenziale della cucina italiana.
In Giappone sono stati raggiunti
risultati molto importanti grazie al
binomio vino e cucina italiani.
Negli Stati Uniti la gastronomia
italiana ha raggiunto ormai altissime
vette di eccellenza che hanno
dato impulso anche al vino.
Quando si parla di vino piemontese, per dire dei suoi alti
livelli, letteralmente si parla di “università del vino”, come
ha scritto su un pannello una enoteca di New York.
Quali nuove proposte si stanno elaborando in Casa Coppo?
Abbiamo ormai pronto lo spumante metodo classico Luigi
Coppo, dedicato a nostro padre. Lo presenteremo in assaggio
a Vinitaly 2008.
Stiamo anche perfezionando il lancio a fine anno del rosè
Clelia, un 2005 millesimato
che porta il nome della nonna.
Ci piace infatti legare i
nostri “Metodo classico” ai
nomi portati in famiglia. È un
rosè molto pallido, uno
Chardonnay, appena “macchiato”
con Pinot nero, vinificato in
riduzione d’ossigeno mantenendo
un po’ degli zuccheri, una
ventina di grammi, sui quali si fa
poi fare la seconda fermentazione.
DIETRO LE QUINTE...
I fratelli Coppo vanno sempre
d’accordo?
Sì, sempre.
Bisticciando. A parte la battuta,
c’è fra noi un ottimo
rapporto. Addirittura negli
anni ’70, avevamo formato
insieme un piccolo complesso
musicale con Gianni
alla chitarra, Paolo alla batteria,
Piero alla tastiera e
Roberto al basso.
Ci sarà una nuova
generazione di “Coppo”?
La quarta generazione
è entrata in campo nel
1994 con Massimiliano,
figlio di Piero, che si occupa
di aspetti commerciali e di PR. Intanto è entrato in azienda
anche Edoardo, il genero di Gianni. Poi aspettiamo l’ingresso
di Luigi, il figlio di Paolo.
Qual è il segreto del successo di un vino?
Non è una domanda semplice.
Ci vogliono tante cose, un forte
impegno individuale del produttore,
buone intuizioni in vigna, in cantina,
sul mercato, poi spiegazioni del prodotto
e del territorio di provenienza,
l’organizzazione di degustazioni ed
assaggi, una buona gestione delle pubbliche relazioni, la creazione di buoni rapporti con il giornalismo
e ancora molto altro. Naturalmente ci vuole anche un
po’ di fortuna.