L'ANGOLO DELLA VIGNA
di Anna Schneider

 

Le collezioni perdute...

La storia dell’ampelografia, ovvero di quella disciplina che si propone di studiare, distinguere e classificare le diverse varietà di vite, è disseminata di pubblicazioni mancate, di perdite di materiali, di “buchi neri “ culturali.
Per la verità questo accade nel corso dello sviluppo di molte scienze, ma sembra che proprio nello studio dell’assortimento varietale della vite queste defezioni siano in qualche modo più numerose e determinino vuoti che è difficile oggi colmare.
C’è da chiedersi se questo non dipenda dal fatto che il grande numero dei vitigni coltivati e la complessità delle loro denominazioni rendono l’impresa di una trattazione completa e accurata troppo ardua per la vita e le conoscenze di un uomo solo, e dunque destinata ad esser raramente portata a termine.
Altre volte è stato semplicemente il caso o le vicende più varie nella vita di molti studiosi ad averli allontanati dalla possibilità di divulgare quanto avevano appreso nel corso di anni di studio.
Di uno dei padri dell’ampelografia, l’abate Rozier, il primo a realizzare un champ d’essai de cépages, cioè la prima vera collezione ampelografica, ci rimane relativamente poco a proposito di vitigni. Botanico e agronomo acutissimo, autore del celebre ma incompleto Dictionnaire d’Agriculture, il cui primo volume fu pubblicato nel 1771, Rozier non ebbe tempo di redigere proprio la parte che riguardava la vite, che, data la sua vastissima esperienza in merito, gli sarebbe stato così facile e piacevole trattare. Morì infatti a 59 anni durante l’assedio di Lione nel 1793, in modo del tutto accidentale, perché, avendo ceduto il proprio letto ad un amico, una palla di cannone distrusse nottetempo la mansarda dove dormiva presso l’oratorio di San Policarpo.
Di un altro celebre ampelografo, il conte Giuseppe di Rovasenda, vissuto in Piemonte un secolo dopo François Rozier, non si può che rimpiangere il fatto di aver pubblicato con il “Saggio di un’Ampelografia Universale” soltanto un assai conciso - peraltro prezioso - compendio delle informazioni e delle lucide osservazioni condotte sul materiale da lui raccolto nella famosa e vastissima collezione di vitigni.
Gli appunti originali dello studioso si sono conservati, ma nessuno è riuscito in seguito, malgrado l’impegno profuso, a pubblicare il frutto di tanti anni di lavoro sottoforma di schede ampelografiche monografiche per ciascun vitigno, ordinando e sviluppando le annotazioni di campo del conte.
Del resto neppure la famosa collezione di Rovasenda ha potuto giungere fino a noi, perché vicende alterne, non ultime l’avvento della fillossera e in seguito le ristrettezze economiche nel corso della seconda guerra, ne hanno determinato a poco a poco la scomparsa.
Non fu più felice il destino di un’altra celebre collezione ampelografica italiana, quella del Barone Antonio Mendola a Favara, presso Agrigento, che l’infezione fillosserica distrusse ben prima di quella piemontese, intorno al 1890.
Ancor più malauguratamente andarono perduti i preziosissimi fascicoli che il barone, insigne studioso, aveva redatto nell’intento di pubblicare di lì a poco l’”Ampelografia Italica”, frutto di anni di lavoro nella sua collezione, creata con altrettanto impegno raccogliendo migliaia di vitigni da ogni dove.
Non si può che provar rammarico considerando che i manoscritti furono sottratti deliberatamente, e per vendetta, da una persona al servizio dello stesso barone da lui licenziata e che, pur del tutto inutili al ladro, essi non furono mai più ritrovati.
Doveva essere veramente preziosa la descrizione di ben 450 vitigni redatta da Luis-Augustin Bosc, chiamato all’inizio del 1800 a studiare e illustrare la famosa collezione parigina del Giardino del Museo di Storia naturale, meglio noto come Jardins de Luxembourg.
Preziosa anche perché illustrata per almeno 60 cultivar dal celeberrimo pittore botanico Pierre-Joseph Redouté, di cui rimangono famose le splendide rose. Pare veramente uno scempio che tutto questo materiale sia andato perduto, anche perché il Jardin, all’epoca, contava, pare, alcune migliaia di vitigni raccolti in ogni angolo di Francia e si stava ampliando con le cultivar provenienti dai vasti possedimenti imperiali.
A fronte, però, di tante perdite irreparabili, vi sono opere che ci sono giunte intatte e che anzi recentemente sono state oggetto di ristampe e divulgazione.
Tra tutte ricordo la celebre “Pomona Italiana” di Giorgio Gallesio, splendidamente illustrata. Da qualche anno l’opera è interamente fruibile on-line (http://www.pomonaitaliana.it/), esempio mirabile di aperta divulgazione scientifica.