L'ANGOLO DELLA VIGNA
Le collezioni perdute... |
La storia dell’ampelografia, ovvero di quella disciplina che si
propone di studiare, distinguere e classificare le diverse varietà
di vite, è disseminata di pubblicazioni mancate, di perdite di
materiali, di “buchi neri “ culturali.
Per la verità questo accade nel corso dello sviluppo di molte
scienze, ma sembra che proprio nello studio dell’assortimento
varietale della vite queste defezioni siano in qualche modo più
numerose e determinino vuoti che è difficile oggi colmare.
C’è da chiedersi se questo non dipenda dal fatto che il grande
numero dei vitigni coltivati e la complessità
delle loro denominazioni rendono
l’impresa di una trattazione completa
e accurata troppo ardua per la vita e le
conoscenze di un uomo solo, e dunque
destinata ad esser raramente portata a
termine.
Altre volte è stato semplicemente il
caso o le vicende più varie nella vita di
molti studiosi ad averli allontanati dalla
possibilità di divulgare quanto avevano
appreso nel corso di anni di studio.
Di uno dei padri dell’ampelografia,
l’abate Rozier, il primo a realizzare un
champ d’essai de cépages, cioè la prima
vera collezione ampelografica, ci rimane
relativamente poco a proposito di vitigni.
Botanico e agronomo acutissimo,
autore del celebre ma incompleto
Dictionnaire d’Agriculture, il cui primo
volume fu pubblicato nel 1771, Rozier
non ebbe tempo di redigere proprio la
parte che riguardava la vite, che, data la sua vastissima esperienza
in merito, gli sarebbe stato così facile e piacevole trattare.
Morì infatti a 59 anni durante l’assedio di Lione nel 1793, in
modo del tutto accidentale, perché, avendo ceduto il proprio
letto ad un amico, una palla di cannone distrusse nottetempo la
mansarda dove dormiva presso l’oratorio di San Policarpo.
Di un altro celebre ampelografo, il conte Giuseppe di
Rovasenda, vissuto in Piemonte un secolo dopo François
Rozier, non si può che rimpiangere il fatto di aver pubblicato
con il “Saggio di un’Ampelografia Universale” soltanto un assai
conciso - peraltro prezioso - compendio delle informazioni e
delle lucide osservazioni condotte sul materiale da lui raccolto
nella famosa e vastissima collezione di vitigni.
Gli appunti originali dello studioso si sono conservati, ma
nessuno è riuscito in seguito, malgrado l’impegno profuso, a
pubblicare il frutto di tanti anni di lavoro sottoforma di schede
ampelografiche monografiche per ciascun vitigno, ordinando e
sviluppando le annotazioni di campo del conte.
Del resto neppure la famosa collezione di Rovasenda ha
potuto giungere fino a noi, perché vicende alterne, non ultime
l’avvento della fillossera e in seguito le ristrettezze economiche
nel corso della seconda guerra, ne hanno determinato a poco a
poco la scomparsa.
Non fu più felice il destino di un’altra celebre collezione
ampelografica italiana, quella del Barone Antonio Mendola a
Favara, presso Agrigento, che l’infezione
fillosserica distrusse ben prima di quella
piemontese, intorno al 1890.
Ancor più malauguratamente andarono
perduti i preziosissimi fascicoli che il
barone, insigne studioso, aveva redatto
nell’intento di pubblicare di lì a poco
l’”Ampelografia Italica”, frutto di anni di
lavoro nella sua collezione, creata con
altrettanto impegno raccogliendo migliaia
di vitigni da ogni dove.
Non si può che provar rammarico considerando
che i manoscritti furono sottratti
deliberatamente, e per vendetta, da una
persona al servizio dello stesso barone da
lui licenziata e che, pur del tutto inutili al
ladro, essi non furono mai più ritrovati.
Doveva essere veramente preziosa la
descrizione di ben 450 vitigni redatta da
Luis-Augustin Bosc, chiamato all’inizio
del 1800 a studiare e illustrare la famosa
collezione parigina del Giardino del
Museo di Storia naturale, meglio noto come Jardins de
Luxembourg.
Preziosa anche perché illustrata per almeno 60 cultivar dal
celeberrimo pittore botanico Pierre-Joseph Redouté, di cui
rimangono famose le splendide rose. Pare veramente uno scempio
che tutto questo materiale sia andato perduto, anche perché
il Jardin, all’epoca, contava, pare, alcune migliaia di vitigni raccolti
in ogni angolo di Francia e si stava ampliando con le cultivar
provenienti dai vasti possedimenti imperiali.
A fronte, però, di tante perdite irreparabili, vi sono opere
che ci sono giunte intatte e che anzi recentemente sono state
oggetto di ristampe e divulgazione.
Tra tutte ricordo la celebre “Pomona Italiana” di Giorgio
Gallesio, splendidamente illustrata. Da qualche anno l’opera è
interamente fruibile on-line (http://www.pomonaitaliana.it/),
esempio mirabile di aperta divulgazione scientifica.