L'ANGOLO DELLA VIGNA
Calabria felix: la regione dalle molte uve |
Con i suoi 15.000 ettari impiantati a vite, la Calabria è attualmente
una delle regioni meno intensamente vitate d’Italia.
Appare dunque per lo meno insolito che vi si sia recentemente
recuperato un numero di vitigni diversi a dir poco ragguardevole,
se si considera l‘esiguità delle attuali superfici interessate.
In un programma di recupero di germoplasma di vite condotto
dall’azienda vitivinicola fratelli Librandi di Cirò Marina nei
vecchi vigneti della regione, sono state rinvenute e portate in collezione
poco meno di 200 cultivar di vite, di cui un terzo circa
sono risultati genotipi distinti e le restanti accessioni si sono confermate
sinonimi o mutazioni. A queste
ne vanno aggiunte circa altre 100 che
chi scrive, in collaborazione con
l’Università Mediterranea di Reggio
Calabria, ha avuto modo di osservare in
alcuni vigneti commerciali o in collezioni
locali, per un totale dunque di 300
vitigni fino ad ora censiti nella regione,
di cui più di un terzo sono cultivar
distinte.
Un patrimonio di biodiversità ricco
e variegato, suddiviso abbastanza equamente
tra uve nere e bianche, con la presenza
di uve rosse, viola, rosso-grigiastre
ed a sapore aromatico.
Sorge spontaneo chiedersi perché,
proprio in Calabria, vi è una così ampia
ricchezza di diversità genetica. È probabile
che una delle ragioni risieda nelle
caratteristiche morfo-geografiche della
regione: una lunga penisola percorsa da una dorsale di monti che
dividono gli spazi, creando conche, piccole pianure, valli, terrazzi
e altopiani, coste frastagliate, ed offrendo così ambienti ecologici
estremamente differenziati. Sono questi ambienti che hanno
contribuito a sviluppare bio-diversità, che le difficili comunicazioni,
e dunque gli scambi modesti tra le varie zone, hanno teso a
mantenere. Nel contempo, l’estensione delle coste e la posizione
geografica al centro del Mediterraneo hanno fatto della Calabria
una terra percorsa e abitata da molti popoli che hanno contribuito
nel corso dei secoli (e forse dei millenni) ad introdurre vitigni
diversi, provenienti originariamente da altri luoghi. Né, infine, va
dimenticato quello sviluppo dell’agricoltura, frutticoltura e viticoltura
in particolare, che, se pure con intervalli di decadenza, ha
contribuito tra Cinque e Settecento a dare l’immagine di una
Calabria felix, un fertile giardino colmo di uve e di frutti.
Così come appare ampio e variegato, l’assortimento varietale
calabrese non manca di presentarsi attualmente problematico da
un punto di vista ampelografico.
Per via dei numerosissimi sinonimi e dei molti vitigni omonimi,
distinti ma soggetti ad essere confusi, l’identificazione dell
cultivar calabresi, cioè il vero nome da attribuire a ciascuna, è
problema ben noto anche per le più importanti e diffuse fra di
esse. Lo studio presentato nel recente libro “Il Gaglioppo e i suoi
fratelli. I vitigni autoctoni della Calabria”, edito dall’azienda
Librandi con il contributo dell’Assessorato Agricoltura della
Regione Calabria, contribuisce a chiarire almeno alcune delle
questioni ampelografiche più importanti. All’indagine ampelografica
e genetica hanno partecipato il
CNR, Istituto di Virologia Vegetale di
Grugliasco (Torino), l’Istituto Agrario
di S. Michele all’Adige (Trento),
l’azienda Librandi, che mantiene tra
l’altro in collezione buona parte del
materiale, e l’Università Mediterranea
di Reggio Calabria.
Dalla ricerca è emerso ad esempio
che il Magliocco dolce (che conta numerosissimi
sinonimi tra cui Arvino,
Lacrima nera, Marcigliana e Greco nero
– gli ultimi due usati nel Lametino), una
delle cultivar più diffuse nei vecchi
vigneti della regione, è ben distinta da
un altro Magliocco (il Magliocco canino)
e potrebbe corrispondere alla
Marsigliana iscritta nel Registro
Nazionale delle Varietà di Vite.
Per evitare confusioni, è dunque
opportuno bandire per il Gaglioppo, la cultivar principale calabrese,
il sinonimo di Magliocco registrato ufficialmente. Tra le
uve a bacca bianca, vi sono almeno quattro omonimi Greci: il
Greco bianco coltivato nel Cirotano, che corrisponde al
Guardavalle; il Greco della zona di Rogliano, più spesso noto
nella regione come Pecorello; il Greco di Bianco, che studi precedenti
qui confermati avevano identificato come Malvasia di
Lipari; il Greco della zona del Pollino, che va ricondotto al
Montonico bianco, a sua volta distinto dal Mantonico bianco della
Locride.
Come si può vedere da questi pochi esempi il discorso appare
complesso, anche per la presenza nella regione di cultivar ben
note e diffuse in altre parti d’Italia, ma non riconosciute in
Calabria come tali. Per chi avrà voglia e pazienza di seguirci,
intendiamo approfondire prossimamente qualche altro tema sull’assortimento
varietale della Calabria felix, una regione chiave
per lo sviluppo di vitigni tradizionali italiani.