L'ANGOLO DELLA VIGNA
di Anna Schneider

 

Calabria felix: la regione dalle molte uve

Con i suoi 15.000 ettari impiantati a vite, la Calabria è attualmente una delle regioni meno intensamente vitate d’Italia.
Appare dunque per lo meno insolito che vi si sia recentemente recuperato un numero di vitigni diversi a dir poco ragguardevole, se si considera l‘esiguità delle attuali superfici interessate.
In un programma di recupero di germoplasma di vite condotto dall’azienda vitivinicola fratelli Librandi di Cirò Marina nei vecchi vigneti della regione, sono state rinvenute e portate in collezione poco meno di 200 cultivar di vite, di cui un terzo circa sono risultati genotipi distinti e le restanti accessioni si sono confermate sinonimi o mutazioni. A queste ne vanno aggiunte circa altre 100 che chi scrive, in collaborazione con l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, ha avuto modo di osservare in alcuni vigneti commerciali o in collezioni locali, per un totale dunque di 300 vitigni fino ad ora censiti nella regione, di cui più di un terzo sono cultivar distinte.
Un patrimonio di biodiversità ricco e variegato, suddiviso abbastanza equamente tra uve nere e bianche, con la presenza di uve rosse, viola, rosso-grigiastre ed a sapore aromatico.
Sorge spontaneo chiedersi perché, proprio in Calabria, vi è una così ampia ricchezza di diversità genetica. È probabile che una delle ragioni risieda nelle caratteristiche morfo-geografiche della regione: una lunga penisola percorsa da una dorsale di monti che dividono gli spazi, creando conche, piccole pianure, valli, terrazzi e altopiani, coste frastagliate, ed offrendo così ambienti ecologici estremamente differenziati. Sono questi ambienti che hanno contribuito a sviluppare bio-diversità, che le difficili comunicazioni, e dunque gli scambi modesti tra le varie zone, hanno teso a mantenere. Nel contempo, l’estensione delle coste e la posizione geografica al centro del Mediterraneo hanno fatto della Calabria una terra percorsa e abitata da molti popoli che hanno contribuito nel corso dei secoli (e forse dei millenni) ad introdurre vitigni diversi, provenienti originariamente da altri luoghi. Né, infine, va dimenticato quello sviluppo dell’agricoltura, frutticoltura e viticoltura in particolare, che, se pure con intervalli di decadenza, ha contribuito tra Cinque e Settecento a dare l’immagine di una Calabria felix, un fertile giardino colmo di uve e di frutti.
Così come appare ampio e variegato, l’assortimento varietale calabrese non manca di presentarsi attualmente problematico da un punto di vista ampelografico.
Per via dei numerosissimi sinonimi e dei molti vitigni omonimi, distinti ma soggetti ad essere confusi, l’identificazione dell cultivar calabresi, cioè il vero nome da attribuire a ciascuna, è problema ben noto anche per le più importanti e diffuse fra di esse. Lo studio presentato nel recente libro “Il Gaglioppo e i suoi fratelli. I vitigni autoctoni della Calabria”, edito dall’azienda Librandi con il contributo dell’Assessorato Agricoltura della Regione Calabria, contribuisce a chiarire almeno alcune delle questioni ampelografiche più importanti. All’indagine ampelografica e genetica hanno partecipato il CNR, Istituto di Virologia Vegetale di Grugliasco (Torino), l’Istituto Agrario di S. Michele all’Adige (Trento), l’azienda Librandi, che mantiene tra l’altro in collezione buona parte del materiale, e l’Università Mediterranea di Reggio Calabria.
Dalla ricerca è emerso ad esempio che il Magliocco dolce (che conta numerosissimi sinonimi tra cui Arvino, Lacrima nera, Marcigliana e Greco nero – gli ultimi due usati nel Lametino), una delle cultivar più diffuse nei vecchi vigneti della regione, è ben distinta da un altro Magliocco (il Magliocco canino) e potrebbe corrispondere alla Marsigliana iscritta nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite.
Per evitare confusioni, è dunque opportuno bandire per il Gaglioppo, la cultivar principale calabrese, il sinonimo di Magliocco registrato ufficialmente. Tra le uve a bacca bianca, vi sono almeno quattro omonimi Greci: il Greco bianco coltivato nel Cirotano, che corrisponde al Guardavalle; il Greco della zona di Rogliano, più spesso noto nella regione come Pecorello; il Greco di Bianco, che studi precedenti qui confermati avevano identificato come Malvasia di Lipari; il Greco della zona del Pollino, che va ricondotto al Montonico bianco, a sua volta distinto dal Mantonico bianco della Locride.
Come si può vedere da questi pochi esempi il discorso appare complesso, anche per la presenza nella regione di cultivar ben note e diffuse in altre parti d’Italia, ma non riconosciute in Calabria come tali. Per chi avrà voglia e pazienza di seguirci, intendiamo approfondire prossimamente qualche altro tema sull’assortimento varietale della Calabria felix, una regione chiave per lo sviluppo di vitigni tradizionali italiani.