di Moreno Soster |
Nell’arco di pochi decenni la nostra società e la nostra
economia si sono evolute repentinamente, sotto lo stimolo
di un impressionante sviluppo delle tecnologie e dei mercati.
I sistemi umani ed economici locali hanno dovuto rapidamente
confrontarsi con confini sempre più ampi, e di
conseguenza con problematiche di volta in volta più complesse
ed articolate.
Contemporaneamente è aumentata, soprattutto in
Europa, la sensibilità collettiva nei confronti dell’ambiente
e della qualità della vita.
A tutto questo, la politica
ha risposto diversificando i
livelli decisionali: si pensi da
un lato alla crescita di ruolo
dell’Unione Europea e dall’altro
al decentramento amministrativo
di alcuni Paesi come
l’Italia, il tutto reso flessibile e
coeso dalle più recenti politiche
di governance e di sussidiarietà.
Gli strumenti con cui opera
la politica sono le leggi, le
quali cercano di porre rimedio
ai diversi problemi che la collettività
si trova ad affrontare.
I percorsi delle leggi hanno
tempi mutevoli e, talvolta, può
accadere che normative su
argomenti diversi possano
entrare in vigore nello stesso momento, amplificando la
loro portata in un gioco di domino normativo che, a volte,
supera le attese degli stessi legislatori.
Nel settore vitivinicolo in questi mesi è accaduto proprio
questo, anche se il tutto è partito alcuni anni fa. Infatti
dal 2003, per limitare la crescita del bilancio comunitario
e per favorire l’entrata dei nuovi Paesi membri, l’Unione
Europea ha completamente rivisto le proprie modalità di
spesa a favore dell’agricoltura.
La politica agricola comunitaria ha puntato a ridurre
gli interventi sul mercato per favorire azioni a sostegno
dello sviluppo rurale nonché della qualità e della sicurezza
dei prodotti. In questo ambito, il primo giorno di agosto di
quest’anno, sono entrati in vigore contemporaneamente
sia l’Organizzazione Comune di mercato (OCM) vitivinicola
sia il nuovo sistema normativo di valorizzazione e
tutela dei prodotti agricoli.
La prima si propone di sostenere azioni che favoriscano
la crescita imprenditoriale e aziendale, affinché i produttori
possano proporre sul mercato mondiale vini di
qualità e competitivi.
Il secondo cerca di armonizzare le diverse denominazioni
d’origine, vitivinicole e non, in uno schema unico:
d’ora in poi si parlerà solamente di Denominazioni
d’origine protette (DOP) e di Indicazioni Geografiche
Protette (IGP), anche se la filiera vitivinicola europea ha
chiesto una gradualità nell’applicazione della norma ed il
mantenimento in etichetta delle “vecchie” DOC e DOCG.
I Regolamenti, che sono le leggi comunitarie che
regolano sia l’OCM vino sia le nuove DOP/IGP, definiscono
una serie di norme di principio a cui tutti i Paesi
devono uniformarsi, tuttavia molte norme di dettaglio e applicative sono demandate al livello nazionale.
In questo quadro in grande mutamento, il Ministero per
le politiche agricole ha avviato a metà agosto la discussione
della nuova legge di tutela sulle denominazioni d’origine e
le indicazioni geografiche dei vini, che dovrà adeguarsi ai
nuovi indirizzi comunitari e andrà a sostituire la Legge n.
164/92.
Questa scelta del Ministero mi pare assumere un significato
simbolico di chiusura di un’epoca - quella avviata
con la Legge n. 930/63 e proseguita proprio con la Legge
n. 164/92, che è stata fondamentale per ridisegnare la
viticoltura italiana e consentire l’affermazione sui mercati
mondiali dei nostri vini più prestigiosi - per aprire una fase
nuova e più in linea con le disposizioni comunitarie.
Infatti oggi occorre cambiare.
Per il mercato non è più sufficiente esporre una denominazione
in etichetta, per attestare l’origine e la tipicità,
ma occorre che il vino incontri le aspettative del consumatore
in termini di prezzo, di qualità organolettica e di sicurezza
alimentare, possibilmente con un’attenzione all’ambiente.
Una sfida difficile, anche se occorre ricordare che le
leggi non pongono solo obbiettivi da raggiungere e limiti
da osservare, ma mettono anche a disposizione risorse
finanziarie per sostenere l’indirizzo politico.
Le risorse finanziarie, pur in un periodo di economia in
difficoltà, sono ancora importanti e spendibili in un arco di
tempo abbastanza lungo (almeno fino al 2013), ma la loro
distribuzione sui diversi interventi può essere differente da
Paese a Paese.
Per questo sarà importante che l’Italia abbia lucidità e
fiducia nella scelta degli interventi che realmente possono
assicurare un futuro alla nostra economia vitivinicola, privilegiando
le ristrutturazioni dei vigneti, il rinnovo delle
attrezzature, l’investimento in ricerca, gli strumenti di
tracciabilità, le strategie di promozione e di marketing
integrate (affinché la ricchezza di vini del nostro Paese si
traduca in una vera forza di gamma e di volumi, da giocare
sui diversi segmenti del mercato mondiale) rinunciando,
da subito, al trascinamento di interventi anacronistici
come gli arricchimenti e la distillazione.
Analogamente, ora che la nuova politica comunitaria di
tutela delle denominazioni migliora la capacità di difesa dei
nostri prodotti dalle contraffazioni sui mercati globali,
dovremmo lavorare per accrescere le sinergie tra le diverse
produzioni vinicole italiane a DOP/IGP, con una maggiore
attenzione all’effettivo servizio reso al consumatore,
piuttosto che alla conservazione di diritti acquisiti o all’estremizzazione
dei localismi.
Stiamo vivendo un momento con regole nuove, sta a noi
decidere di viverle come vincolo oppure giocarle – con un
po’ di fantasia e coraggio – per costruire qualcosa di nuovo
e dare nuove prospettive al nostro futuro.
Ognuno dovrà fare la sua parte: le imprese dovranno
ragionare sempre più in termini di gestione sostenibile
delle proprie attività, le filiere dovranno sforzarsi di
operare in forma coesa perché questa è la sola strada
percorribile, la pubblica amministrazione dovrà esercitare
con efficacia e rigore il proprio ruolo nelle attività
“super partes” – sicuramente necessarie in un sistema
così complesso – con vero spirito di servizio alla collettività
e ai settori economici.