L'ANGOLO DELLA VIGNA
I vitigni viaggiatori |
Le viti, si sa, hanno viaggiato e ancora viaggiano nel mondo,
accompagnando coloni migranti.
Erano, sono, il modo per garantire una volta giunti a destinazione
un determinato prodotto, un reddito sicuro e non di
rado la stessa sopravvivenza. Nella loro nuova patria, dove non
vi è memoria storica della loro presenza, i vitigni sono spesso
ribattezzati con nomi diversi da quello originario, nel frattempo
andato perduto o dimenticato. Si alimenta così quel fenomeno
per cui i sinonimi, poiché portano un altro nome, vengono ritenuti
entità varietali a sé stanti, qualcosa di nuovo e di diverso, si
perde la vera identità del materiale che si
coltiva e si può incappare in errori di
denominazione e confusioni.
Questa è una delle questioni più
complicate in viticoltura, al cui riordino
si può oggi efficacemente contribuire
combinando l’esperienza ampelografica
di campo con le analisi genetiche (il
cosiddetto fingerprinting), grazie anche
alla sempre più intensa circolazione sulla
rete di informazioni in tempo reale.
Purtroppo non esiste ancora in Italia una
banca dati molecolare centralizzata e
accessibile, né un archivio di informazioni
ampelografiche e di immagini. È possibile,
e anche doveroso, che in un futuro
vicino, questi strumenti prendano forma
e possano rispondere alle pressanti esigenze
di identificazione dei materiali da
parte degli operatori.
Per ora limitiamoci a fare qualche
esempio di sinonimi curiosi e talora inaspettati,
perché individuati in luoghi distanti e senza apparente
collegamento.
Ricordate l’Uva meravigliosa già descritta su queste pagine,
vale a dire il Grec rouge (o Grec rose) francesi? Era presente in
Piemonte, in Liguria, in centro Europa e perfino in Dalmazia.
Forse si nasconde in altre uve non ancora identificate dal bel
colore rosa acceso. Non sappiamo né la sua origine né quali
percorsi abbia compiuto nella sua diffusione, ma è un’uva antica
e di sicuro una buona viaggiatrice.
Per restare in area mediterranea, si è visto che il Rollo ligure
(chiamato localmente anche Bruciapagliaio), corrisponde
alla Livornese bianca del litorale toscano e ha un suo corrispettivo
in Corsica nel Pagadebiti, nome che si addice a questo
generosissimo produttore.
Il Palomino fino spagnolo (Listàn o Listrao), uno dei vitigni
più famosi tipico dell’Andalusia e dell’isola di Madeira, si è
spinto in Liguria (dove l’abbiamo trovato come “Madera”) e,
probabilmente da qui, nel Piemonte sud-orientale, mentre ci
pare di intravederlo anche nella “Spagna bianca”, un vitigno
minore toscano da poco descritto. Del resto, a sottolineare
l’influenza spagnola lungo le coste del mar Tirrenico, la
Malvasia nera toscana, si è scoperto recentemente, non è che
Tempranillo.
Più curioso appare il fatto che nell’Astigiano abbiamo recuperato
un vecchio vitigno, già citato nel
passato come Balaràn, che corrisponde
in realtà alla Prunesta calabrese, chiamata
nel Lametino “Uva del soldato”, nome
singolare, che evoca movimenti di truppe
e assalto di garibaldini. E che dire di un
evidentemente falso Rossese bianco trovato
in Liguria, che in realtà è il Grillo
siciliano?
Il Prié blanc, base del Blanc de
Morgex et de la Salle, una delle cultivar
che in Europa raggiunge le altitudini più
elevate, con il curioso nome di Legiruela
dà vini magri e leggeri in una remota
regione del centro della Spagna. Il collegamento
potrebbe essere l’influenza italiana
in una castellania della zona alcuni
secoli or sono, ma il percorso compiuto
da questo vitigno, un tempo comune ed
oggi assai raro, rimane oscuro. Meno
oscuro pare il legame tra Levante Ligure
e Vernaccia toscana. Dalle Cinque Terre
proveniva un vino rinomato, celebrato negli scritti trecenteschi
del Boccaccio e del Sacchetti, e da qui, secondo quest’ultimo,
piante di “Vernaccia” furono introdotte in Toscana. Non pare
un caso che proprio nei dintorni di Vernazza, in Cinque Terre,
abbiamo recuperato un Piccabòn risultato identico alla cultivar
Vernaccia di San Gimignano, base dello storico vino omonimo
toscano.
È dunque importante riuscire a identificare correttamente i
vitigni migranti, per evitare ad esempio di scambiarli con materiale
di origine locale.
Ma è anche possibile in questo modo far luce su possibili
percorsi, sul cammino che essi hanno compiuto nei secoli e
magari sulla loro origine. Tutti temi affascinanti, perché la storia
della vite da millenni si intreccia a quella dell’umanità.