L'ANGOLO DELLA VIGNA
di Anna Schneider

 

I vitigni viaggiatori

Le viti, si sa, hanno viaggiato e ancora viaggiano nel mondo, accompagnando coloni migranti. Erano, sono, il modo per garantire una volta giunti a destinazione un determinato prodotto, un reddito sicuro e non di rado la stessa sopravvivenza. Nella loro nuova patria, dove non vi è memoria storica della loro presenza, i vitigni sono spesso ribattezzati con nomi diversi da quello originario, nel frattempo andato perduto o dimenticato. Si alimenta così quel fenomeno per cui i sinonimi, poiché portano un altro nome, vengono ritenuti entità varietali a sé stanti, qualcosa di nuovo e di diverso, si perde la vera identità del materiale che si coltiva e si può incappare in errori di denominazione e confusioni.
Questa è una delle questioni più complicate in viticoltura, al cui riordino si può oggi efficacemente contribuire combinando l’esperienza ampelografica di campo con le analisi genetiche (il cosiddetto fingerprinting), grazie anche alla sempre più intensa circolazione sulla rete di informazioni in tempo reale. Purtroppo non esiste ancora in Italia una banca dati molecolare centralizzata e accessibile, né un archivio di informazioni ampelografiche e di immagini. È possibile, e anche doveroso, che in un futuro vicino, questi strumenti prendano forma e possano rispondere alle pressanti esigenze di identificazione dei materiali da parte degli operatori.
Per ora limitiamoci a fare qualche esempio di sinonimi curiosi e talora inaspettati, perché individuati in luoghi distanti e senza apparente collegamento.
Ricordate l’Uva meravigliosa già descritta su queste pagine, vale a dire il Grec rouge (o Grec rose) francesi? Era presente in Piemonte, in Liguria, in centro Europa e perfino in Dalmazia. Forse si nasconde in altre uve non ancora identificate dal bel colore rosa acceso. Non sappiamo né la sua origine né quali percorsi abbia compiuto nella sua diffusione, ma è un’uva antica e di sicuro una buona viaggiatrice.
Per restare in area mediterranea, si è visto che il Rollo ligure (chiamato localmente anche Bruciapagliaio), corrisponde alla Livornese bianca del litorale toscano e ha un suo corrispettivo in Corsica nel Pagadebiti, nome che si addice a questo generosissimo produttore.
Il Palomino fino spagnolo (Listàn o Listrao), uno dei vitigni più famosi tipico dell’Andalusia e dell’isola di Madeira, si è spinto in Liguria (dove l’abbiamo trovato come “Madera”) e, probabilmente da qui, nel Piemonte sud-orientale, mentre ci pare di intravederlo anche nella “Spagna bianca”, un vitigno minore toscano da poco descritto. Del resto, a sottolineare l’influenza spagnola lungo le coste del mar Tirrenico, la Malvasia nera toscana, si è scoperto recentemente, non è che Tempranillo.
Più curioso appare il fatto che nell’Astigiano abbiamo recuperato un vecchio vitigno, già citato nel passato come Balaràn, che corrisponde in realtà alla Prunesta calabrese, chiamata nel Lametino “Uva del soldato”, nome singolare, che evoca movimenti di truppe e assalto di garibaldini. E che dire di un evidentemente falso Rossese bianco trovato in Liguria, che in realtà è il Grillo siciliano?
Il Prié blanc, base del Blanc de Morgex et de la Salle, una delle cultivar che in Europa raggiunge le altitudini più elevate, con il curioso nome di Legiruela dà vini magri e leggeri in una remota regione del centro della Spagna. Il collegamento potrebbe essere l’influenza italiana in una castellania della zona alcuni secoli or sono, ma il percorso compiuto da questo vitigno, un tempo comune ed oggi assai raro, rimane oscuro. Meno oscuro pare il legame tra Levante Ligure e Vernaccia toscana. Dalle Cinque Terre proveniva un vino rinomato, celebrato negli scritti trecenteschi del Boccaccio e del Sacchetti, e da qui, secondo quest’ultimo, piante di “Vernaccia” furono introdotte in Toscana. Non pare un caso che proprio nei dintorni di Vernazza, in Cinque Terre, abbiamo recuperato un Piccabòn risultato identico alla cultivar Vernaccia di San Gimignano, base dello storico vino omonimo toscano.
È dunque importante riuscire a identificare correttamente i vitigni migranti, per evitare ad esempio di scambiarli con materiale di origine locale.
Ma è anche possibile in questo modo far luce su possibili percorsi, sul cammino che essi hanno compiuto nei secoli e magari sulla loro origine. Tutti temi affascinanti, perché la storia della vite da millenni si intreccia a quella dell’umanità.