Kensuké Ebihara "Le indicazioni geografiche di origine ed il consumo del vino in Giappone"

Le indicazioni geografiche di origine
ed il consumo del vino in Giappone

Kensuké Ebihara*, Makiko Omura* Sachihiko Hirakawa*, Ken Hasegawa**
*Università Meiji-Gakuin - Tokyo - Giappone -
**Università Kogakuin - Tokyo - Giappone

Riassunto

Nonostante l’assenza di vini ad indicazione geografica ai sensi dell’accordo TRIPS, la maggior parte dei produttori giapponesi commercializzano il loro vino con un nome geografico e indica l’origine delle uve, l’anno di vendemmia e la varietà del vitigno.
A causa di numerosi casi di frode, i consumatori sono sempre più attenti all’origine dei prodotti alimentari e agricoli, e preferiscono i prodotti certificati.
I vini giapponesi prodotti a partire da mosti importati, cui non è permesso di citare indicazioni geografiche, rappresentano una percentuale relativamente alta nel mercato interno.
Riguardo ai vini importati, un crescente consumo di vini del “nuovo mondo” senza indicazione geografica va a detrimento dei vini europei, maggiormente regolamentati.

Da qualche anno i viticultori giapponesi sembrano minacciati dalla diminuzione della produzione di uve per vinificazione.
La produzione complessiva della varietà Koshu, il vitigno locale tradizionale e più rappresentativo, è passata da 140.000 quintali nel 1990 a meno di 70.000 quintali oggi.
Questa notevole riduzione è il risultato della diminuzione della superficie dedicata alle attività agricole, dell’invecchiamento della popolazione agricola, dell’aumento della richiesta di uve da tavola e della riscoperta dei vini ottenuti da altre uve raccolte in Giappone.
Poiché la coltivazione delle uve per vinificazione è molto meno redditizia di quella dell’uva da tavola, numerosi agricoltori viticoli abbandonano il vitigno Koshu a favore di altri vitigni come il Kyoho o il Pione.
Nonostante il prezzo di vendita piuttosto alto, la domanda di vini ottenuti da uve raccolte in Giappone e che portano l’indicazione geografica è in crescita.
Approfittando del boom della cucina giapponese all’estero, alcune tenute vinicole hanno già cominciato a esportare i loro prodotti verso la comunità europea, con un’attestazione e un certificato di analisi effettuate da un istituto giapponese
Ora, le iniziative di esportazione dei vini giapponesi devono affrontare i limiti giuridici stabiliti dalle norme comunitarie riguardanti le pratiche enologiche, l’aggiunta di zucchero, l’etichettatura, la presentazione, ecc.
Dagli anni ’70, il Giappone ha vissuto un periodo di liberalizzazione dell’importazione del vino. Da quel momento il consumo del vino in Giappone è aumentato fino a raggiungere un massimo di 2,978 milioni di hl nel 1998, conseguenza diretta del fenomeno del “paradosso francese”.
È interessante notare che un gran numero di giapponesi considera il vino una bevanda sana. È la ragione per cui i consumatori si interessano a menzioni sull’etichetta come “senza aggiunta di solfiti”, “polifenoli” o “biologico”.
A seguito di numerosi casi di frode ed etichette false nell’arcipelago, i consumatori sono sempre più sensibili all’origine dei prodotti e hanno la tendenza a preferire prodotti certificati.
Per questa ragione, le vendite di prodotti con la dicitura “Senza aggiunta di antiossidanti” commercializzati da molti produttori vinicoli sono in piena crescita.

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