L'OPINIONE DEL PRESIDENTE
di Moreno Soster

L’insostenibile leggerezza
del tappo

 

Esiste un intervallo di tempo tra il momento in cui scegliamo una bottiglia di vino, ne ruotiamo il corpo di vetro ed esaminiamo l’etichetta per capire se il suo contenuto corrisponde alle nostre aspettative e all’occasione in cui la vogliamo offrire, ed il momento del suo consumo. Da una parte la nostra idea di quel vino, in un’immagine teorica che evoca un lungo lavoro iniziato in un preciso vigneto, con le uve trasportate in cantine e lì vinificate, affinate, imbottigliate, abbigliate per giungere fino a noi: un vino ipotetico ed atteso. Dall’altra il profumo che emana dal bicchiere per sprigionare sensazioni olfattive diverse – dalla leggerezza dell’erba e dei fiori, alla pienezza dei frutti e delle spezie fino alla forza del legno e del goudron - e, in bocca, le articolate battaglie delle quattro sensazioni gustative. In mezzo vi è la separazione di un tappo, che vola via gioiosamente o che viene delicatamente serbato nella mano attenta di chi ha stappato. Una separazione fisica, ma anche ideale se vogliamo, tra il vino immaginato e il vino bevuto. Il tappo conclude il suo lavoro di protezione e di custodia e lascia il vino al nostro apprezzamento. Ma non sempre la realtà corrisponde alle attese. Una rapida annusata, l’occhio ha un guizzo e la bocca pronuncia “tappo” con un significato totalmente nuovo: l’immagine è finita, il vino reale irrimediabilmente rovinato.
Ovviamente stiamo parlando di sughero alterato, e quello dell’odore di tappo è senz’altro il difetto più fastidioso che colpisce la produzione enologica moderna. Un problema che diventa insostenibile quando determina una “non conformità” che in alcuni studi ha toccato l’8% del prodotto imbottigliato totale.
Il mondo della produzione e quello scientifico si sono da tempo dedicati alla ricerca di possibili soluzioni alternative. Alcuni hanno percorso la via delle chiusure in materiale sintetico, esenti dagli attacchi fungini che generano il problema, ma che possono evidenziare altri inconvenienti quali l’eventualità di cessioni indesiderate o i fenomeni di adsorbimento. Altri non hanno voluto rinunciare all’uso del sughero e si sono impegnati in radicali interventi di razionalizzazione del processo di lavorazione, attraverso la definizione di procedure in grado di assicurare un elevato controllo della qualità del materiale oppure con la messa a punto di sistemi di lavaggio e deodorizzazione in fluido supercritico.
Non sono mancate, infine, le soluzioni intermedie che hanno combinato il sughero al polimero. Al momento non sembra ancora disponibile un tappo in grado di assicurare la totale inerzia nei confronti del vino, tuttavia i recenti sviluppi tecnologici sono piuttosto confortanti.
Ma il tappo non ha solamente una funzione di chiusura. Unitamente a bottiglia, capsula ed etichetta, diventa portatore di un messaggio al consumatore che attraverso le caratteristiche del contenitore – in senso lato - acquisisce informazioni, reali o immaginate, sul suo contenuto. Da questo punto di vista, è intuitivo che l’uso del tappo in sughero evochi una scelta più legata ai concetti di natura e di tradizione, mentre il tappo in polimero sottende una proposta più moderna e, forse, di rottura. Quindi la scelta di un tipo di chiusura può dipendere anche dalla comunicazione che l’azienda intende dare di sé e dei propri vini. Proprio su questo mi pare interessante il dato emergente da una recente indagine conoscitiva svolta da OICCE sulle preferenze di utilizzo del tappo da parte di un campione di 60 aziende vitivinicole dell’intero territorio nazionale: oltre l’80% degli intervistati ha dichiarato di preferire la chiusura in sughero. Sembrerebbe quindi che l’approccio del mondo produttivo sia ancora molto tradizionale, anche se probabilmente non del tutto consapevole, cioè non sempre legato a precise scelte di immagine e di comunicazione commerciale.
Teniamo anche presente che se la scelta e l’uso di un tappo dipendono dalle tipologie di vino proposte dall’azienda e dal loro mercato di riferimento (vini icona, VQPRD o premium, popular, commodities, sono una possibile schematizzazione dei vini che ho colto recentemente e che esprime l’aggressiva disinvoltura del linguaggio commerciale anglosassone), altrettanto importanti sono i vincoli posti dalle dimensioni aziendali, dall’organizzazione della cantina, nonché dalla reperibilità e dal costo del tappo stesso. Sensazioni, problemi, soluzioni, messaggi di comunicazione, marketing, strategie aziendali, logistica e impianti, costi: sono molteplici le sfaccettature con cui ci avviciniamo alla comprensione di questo piccolo elemento del nostro universo enologico, ma una rimane nel cuore e nella mente.
Il tappo è un custode geloso che ci restituisce, diversi, i vini creati in altri luoghi e in altri tempi.